Demolire o riqualificare?

L’edilizia residenziale pubblica ha lasciato in Italia un patrimonio di realizzazioni importanti e controverse, tanto da evocare il “naufragio di un’utopia” (B. Gravagnuolo). Si pensi, per citare esempi emblematici, al “Corviale” a Roma (1975-1984) e alle “Vele” a Scampia (1962-1975), in parte demolite. Criticati, spesso a ragione, come modelli autoritari di residenza; diventati invivibili per tante ragioni. La demolizione viene invocata come unica strategia possibile, come se che per risolvere insiemi complessi di problemi che generano nel tempo degrado, marginalità, violenza, sia necessario cancellarne del tutto le tracce.

01.   Corviale (ph. Indeciso42 – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=83660398 )

Talvolta, invece di ricorrere al “grado zero” della cancellazione, sarebbe opportuno riflettere sugli edifici, sugli spazi aperti, sul verde, per ricercare soluzioni che permettano un recupero critico e un riuso dell’esistente, con un mix di funzioni, attività, abitanti. Senza voler essere deterministi, in certi casi il degrado (a molte dimensioni) dipende anche dalle tipologie degli edifici. Ad esempio, una corte chiusa, con aperture sulla strada intese come semplici varchi, favorisce la formazione di una sorta di enclave protetto, una zona franca per la marginalità e l’illegalità anche in pieno centro.

01.   “Fort Apache”, Piazza Borgo, Eboli (SA).

Invece di una completa demolizione, la riqualificazione potrebbe prevedere una sostanziale apertura di complessi di questo tipo, con tagli nel costruito, spazi aperti collettivi, un mix di residenza, piccolo commercio, etc. Nel caso di edifici residenziali, si potrebbe favorire una composizione socioeconomica diversificata anziché trasferire in blocco i precedenti abitanti altrove e ricreare zone difficili in periferia.  (LM)

01.   Lacaton-Vassal, Riqualificazione di un isolato e social housing, Boulogne Billancourt, 2010. lacaton & vassal (lacatonvassal.com)

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